LIBRI & POESIA: EMOZIONI SENZA TEMPO

Natàlia Castaldi - Dialoghi con nessuno

Un suggerimento per gli appassionati di poesia

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  1. Edizioni Smasher_PR
     
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    Natàlia Castaldi nasce a Messina il 13 gennaio 1971, dopo una formazione classica si iscrive dapprima alla facoltà di Lettere classiche della sua città, poi abbandonerà quel percorso di studi per trasferirsi tra Milano e Roma e frequentare il corso di Laurea e specializzazione in Interpretariato e Traduzione, conseguendo nel 1997 la specializzazione in Traduzione di lingua inglese e spagnola. Dopo anni di viaggi per studio e lavoro tra Italia e Inghilterra, dal 2000 è tornata a vivere e svolgere la sua attività di traduttrice libero professionista e scrittrice nella sua città natale. La traduzione poetica, la poesia e la partecipazione attiva alla vita politica e civile, sono i suoi principali campi di interesse, che considera dipendenti e consequenziali gli uni dagli altri.

    Scrive poesie, saggi, recensioni, brevi brani in prosa, e nell’ottobre del 2009 fonda insieme ad altri poeti e scrittori il Collettivo dei Meltin’po(e)t_s, con l’obiettivo di diffondere la bellezza del pensiero quale unica fonte di resistenza umana dinanzi agli inganni del tempo ed alle dimenticanze della storia.

    Pubblicazioni:
    Il giardino dei poeti – antologia di poeti italiani – Historica – Il Foglio Letterario, novembre 2008
    Pro/Testo – Versi – antologia – Fara Editore, giugno 2009
    Poetarum Silva – Antologia A.A.V.V. – a cura di Enzo Campi – Samiszdat edizioni, Parma – maggio 2010
    Nota introduttiva al poemetto “Ipotesi Corpo” di Enzo Campi – Edizioni Smasher, Messina – giugno 2010
    Prefazione alla silloge poetica “Diecidita” di Jacopo Ninni, Edizioni Smasher, aprile 2011
    principali poeti tradotti: Pedro Salinas, Ana Rossetti, Elizabeth Barrett Browning, Chales Simic, Mark Strand, Carol Ann Duffy … (traduzioni rintracciabili in rete su vari siti di poesia, tra i quali “Imperfetta Ellisse”, a cura di Giacomo Cerrai)
    Suoi lavori sono stati pubblicati da diversi siti e blog di poesia, tra i quali:
    La dimora del tempo sospeso– a cura di Francesco Marotta
    Nazione Indiana – a cura di Marco Rovelli
    La poesia e lo spirito – a cura di Fabrizio Centofanti e Francesco Sasso
    Oboe Sommerso – a cura di Roberto Ceccarini
    Arte Insieme – a cura di Renzo Montagnoli
    Il giardino dei poeti – a cura di Cristina Bove
    Imperfetta Ellisse a cura di Giacomo Cerrai
    Stroboscopio – a cura di Luigi Bosco

    Da novembre 2010 cura la rubrica di poesia su noise From Amerika.

    A proposito di "Dialoghi con nessuno"...

    (Nota introduttiva)
    Per un’apologia del «nessuno»
    Di Enzo Campi

    L’altro è altro perché è altro.
    E che sia qualcuno/qualcosa di ben definito o che venga apostrofato come un generico «nessuno», non è cosa che possa mutare il corso e il decorso di un’apologia i cui punti si nutrono e si costituiscono nella giustapposizione di una miriade di contrappunti. Insisterei proprio sulla giustapposizione, o meglio sull’affiancamento, o ancora su quella che Nancy avrebbe definito prossimità. Ciò che conta qui non è tanto il contatto quanto lo sfioramento. C’è una sorta di tremore diffuso che permette alle parole di rendersi prossime le une alle altre e di vibrare. Perché sarà bene dirlo una volta per tutte: il nostro fatidico «nessuno» è proprio la poesia, o meglio la scrittura.
    [ in fondo si rimane sempre fermi lì dove tutto è la costante del movimento, ché - vedi - lo puoi anche sentire questo valzer che gira su se stesso, come un gatto che s’insegue nella coda. Riassumere allievo e maestro e non aspettarmi nulla, o praticamente tutto, da te che sei Nessuno, è il passo doppio che guida la mia scrittura. ]
    Scontrandosi con la scrittura Castaldi incontra la scrittrice che è dentro di lei. Ma entrambi, sia la scrittura che la scrittrice, sono l’altro, sono il «nessuno». Per questo si può imbastire una tracciatura, per questo si può celebrarne l’apologia, perché il «nessuno» è e si situa sempre un passo al di là.
    La poesia è ciò che qui sfugge al controllo, proprio perché è troppo presente, perché celebra l’assenza e la mancanza, perché cerca volutamente una contaminazione con la prosa, perché il suo scopo precipuo è quello di “essere materia di invenzione sempre nuova”. Il poeta, a sua volta, rivolge lo sguardo non verso ciò che può far suo ma proprio verso ciò che non si lascia prendere e possedere. La scrittura e la scrittrice, indossando panni sempre diversi, eccedono quindi i gesti e i luoghi dell’incontro e dello scontro ridefinendo non l’essenza della loro presenza ma l’idea di un qualcosa che non può esimersi di rendersi circolare e circolante (“il valzer che gira su se stesso”). Per questo non c’è una sola porta d’entrata, non c’è una sola chiave d’accesso, il luogo non è univoco anzi, se possibile, si rinnova continuamente cercando la differenza e eccedendo la sua stessa molteplicità intrinseca.
    Castaldi si presenta rappresentandosi a partire da ciò in cui essa stessa, per libera scelta, tende a mancarsi, ovvero si espone disseminando una tracciatura dei luoghi della mancanza.
    Se idealizzassimo una linea, non potremmo che ipotizzarla tesa ed es-tesa non tanto verso l’infinito, ma verso gli infiniti, ovvero: i possibili.
    Nella tracciatura: una serie di tracce, in cui è proprio il «nessuno» a richiedere (talvolta supplicando) l’avvento di una prossimità. In un certo senso non è la Castaldi a cercare un incontro con l’altro, ma è l’altro che sembra chiedere alla Castaldi la costituzione di un territorio neutrale ove mettere in gioco e, per così dire, barattare le proprie alterità. E il dialogo, o meglio i dialoghi alla fine si rivelano per quello che sono: un gioco, spesso al massacro, dove lo scrivente si lascia scrivere dalla sua stessa scrittura e dove l’orante si lascia condizionare dal suono della sua stessa voce.
    Questa poetica è, per dirlo alla Derrida, insieme cura e veleno, volta quindi ad amplificare e insieme distruggere la patologia.
    Ma qual è la patologia cui ci riferiamo?
    La patologia si chiama semplicemente «scrittura».
    Tutto avviene sotto l’egida di una consumazione e la scansione del dettato alterna, per così dire, la stasi (solo apparente) delle braci all’estasi cui tendono i vari guizzi di fiamma che rappresentano il leit motiv di tutta l’opera. Nelle braci le linee orizzontali ove ci si mette a riposo per raccogliere le forze, e nelle vampe la messa in opera di vere e proprie deflagrazioni. Ci sono dei fuochi sparsi d’intorno. Fuochi volti a riscaldare e rischiarare. Da un lato il calore (o il bisogno di un calore), dall’altro lato l’urgenza di una luce che possa rendere ben visibili i punti ove poggiare i propri piedi durante il cammino.
    Ma i punti sono contrappunti e il cammino è qui un’erranza infinita. Del resto, se dovessimo sbilanciarci in una definizione più ampia, si potrebbe dire che il «Nessuno» rappresenti anche l’insieme delle mille voci che popolano le infinite chiavi di lettura dell’opera.
    Castaldi lascia che le cose si liberino, le sovraccarica per far sì che esse sentano il bisogno di un punto di fuga. E le cose allora si es-tendono, si rendono disponibili e malleabili, si prestano ad essere usate, abbandonano qualsiasi esigenza di resistenza, si abbandonano al loro destino, si avviano verso la loro destinazione, una destinazione che non contempla un punto d’arrivo, ma solo la reiterazione del viaggio. Ed è forse proprio questo il senso ultimo e definitivo della poesia in generale, e della poetica di Natàlia Castaldi in particolare: non l’approdo sulla terra ferma ma la riproposizione e il consolidamento del naufragio. Ciò che conta qui è che il transito continui a mietere vittime e che il «nessuno» continui a sfibrarsi in quelle pratiche salvifiche che chiamiamo cancellazione e disconoscimento.
    Castaldi non esercita un diritto di proprietà sulle cose, la sua poetica non cerca un’appropriazione, anzi è probabilmente rivolta a una disappropriazione. Ed è proprio per questo che ci tocca pronunciare una parola che, per quanto sottesa, viene pressoché taciuta in tutta la raccolta: “desiderio”. Desiderio del sé nell’altro e dell’altro in sé, del «nessuno» a cui rendersi prossimo e in cui delocarsi, desiderio, per dirlo con Heidegger, del lasciarsi-disteso, di rendersi disponibile all’avvento dei possibili, desiderio di trattare le cose e di farsi trattare da esse.
    Ma c’è un desiderio specifico che prevarica tutti gli altri, il desiderio di innestare i sensi nel senso, di lasciare che i sensi divengano il senso non di ciò che è, ma di ciò che è destinato ad essere (o a mancarsi, ma nel nostro caso specifico non c’è nessuna differenza tra i due termini). Si potrebbe dire che il desiderio per Castaldi consista nel desiderare il suo stesso gesto desiderante.
    Qual è il gesto che qui si vagheggia?
    Molto semplicemente il gesto di «scrivere», ovvero la possibilità di declinarsi in quel melange di sacrificio e trascendenza, di piacere e sofferenza che caratterizza, nel bene e nel male, in finzione e in verità, l’andirivieni poematico di quest’opera.
    Ho sempre pensato che Natàlia Castaldi enunci e declini la propria intestinità al solo scopo di creare un punto di fuga ideale dal quale poi tentare il salto verso ciò che, in quanto inconoscibile e inverificabile, si situa sempre al di là, sempre un passo oltre il limite della propria corporeità.
    La super-presenza di questo «nessuno» spesso ci conduce lungo la strada dello sperdimento. Ma lo sperdimento qui investe tutte e tre le parti in causa: l’autrice, il lettore e la stessa scrittura. L’autrice non può fare a meno di celebrare o di fingere di celebrare un’apologia delle sue ossessioni e il lettore non può esimersi dal comprendere che siffatta pratica trova il suo senso proprio nella disappropriazione. L’autrice che si pratica al limite della compenetrazione con la cosa poetica non vuole diventare essa stessa poesia, ma fuggire da essa. Solo così si può, forse, celebrarne l’apologia.
    Si potrebbe dire che Castaldi tenti di rendersi latitante nei confronti della propria latenza. E non è cosa da poco.
    In definitiva – ma, come spesso affermo, senza definire né finire alcunché – questo «nessuno», questa poesia, questa scrittura impura e contaminata, come più volte affermato, si articola in un movimento, doppio e contemporaneo, di aperture e chiusure. Ma, beninteso, questo non accade solo dalla scrittura verso il lettore. La scrittura si apre e si chiude anche da sé verso sé (il connubio tra prosa e poesia ne è l’esempio emblematico), sembra cioè ripiegarsi mentre si estende, e ancora: mette a nudo i suoi dati sensibili rivestendoli di una corazza. Dilatazioni e contrazioni viaggiano all’unisono ed è spesso difficile operare una distinzione netta tra loro. Si potrebbe dire che Il nostro fatidico «signor nessuno» pretenda che tutto il corpo dell’autore si consegni al gioco/giogo sacrificale e insieme trascendentale della scrittura.
    Del resto sono forse proprio queste le intenzioni dell’autrice, di mostrare cioè un’attenzione specifica al mezzo che le permette di declinarsi.


    Se siete interessati a consultare le recensioni o altri link correlati a questo libro, vi invito a consultare il sito delle Edizioni Smasher, cliccando qui!

    Dialoghi con nessuno
    Natàlia Castaldi
    Edizioni Smasher - 12,00 euro
    ISBN 978-88-6300-035-1

    Edited by Edizioni Smasher_PR - 27/4/2012, 23:36
     
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